giovedì 12 febbraio 2009

L'economia ha un'anima? quesiti e provocazioni...

1. E’ cosa buona e giusta per il cristiano creare ricchezza?
· La ricerca dell’efficienza, fine ultimo dell’economia, è un fine legittimo anche per il cristiano?
· Secondo quali principi il cristiano deve amministrare/creare ricchezza?
· I principi “economici” alla base della creazione della ricchezza sono in contraddizione con quelli evangelici?
· Ci sono margini di dialogo tra liberismo e etica cristiana senza cadere nell’eccessivo lassismo o radicalismo ?

2. In che misura il cristiano può condividere i fondamenti del libero mercato?
· La povertà che dobbiamo ricercare è una povertà di beni o di spirito?
· L’invito di Gesù al giovane ricco è di vivere di carità o di fede in Lui?
· Tutto ciò che abbiamo è un dono che dobbiamo a nostra volta donare o che siamo chiamati a far fruttare? A vantaggio di chi?
· Non ha senso la proprietà privata ma solo la comunione dei beni? come prassi imposta da un regime politico o come adesione volontaria a un modo di vivere che non mette in discussione la proprietà dei beni?
· Nell’economia domestica delle nostre famiglie prevalgono comportamenti opportunistici/egoistici o etici/solidali?
· Perché le imprese, gli Stati o le varie istituzioni stentano ad introdurre dimensioni etiche e sociali nelle loro scelte economiche?
· I problemi sono da ricondurre alle leggi “economiche”, ai “fini” dell’economia, alle “scelte politiche” o, ancora oltre alla “natura” dell’uomo che ricorre a mezzi irrispettosi della dignità umana?
· La “concorrenza” di per sé è un principio negativo?
· Qual è la dimensione fisiologica e quale quella patologica della concorrenza alla luce dei valori cristiani?

3. Cosa non ha funzionato nel liberismo? Cosa non ci convince del liberismo economico?
· Basta dire che lo stato o le istituzioni sovranazionali devono intervenire nelle scelte economiche o che al mercato si deve aggiungere la politica per avere una economia più “giusta” e rispettosa dell’uomo e dell’ambiente che lo circonda?
· Quale politica potrebbe far spostare l’asse delle scelte dal primato dell’economia/efficienza a quello della solidarietà, sostenibilità, condivisione, responsabilità e consapevolezza delle conseguenze, …..?
· Come fare per governare l'economia alla luce di un progetto globale di convivenza sociale?

4. La politica, per essere "degna di questo nome", dovrebbe però essere esercitata attraverso un "policentrismo” vale a dire con diversi attori autonomi ma interdipendenti, dai singoli alle famiglie, agli enti locali, lo Stato, le realtà sovranazionali e internazionali: è utopia o un obiettivo conseguibile?
· La crisi è solo economica o è anche sociale, morale e include l’oblio di alcuni valori, tra cui anche quelli cristiani: quali in particolare?
· Cosa occorre ricostituire o costruire di nuovo per garantire un futuro più umano preservando il legittimo desiderio di crescita e di sviluppo del benessere?
· Ci sono bisogni che il mercato non riesce a soddisfare? Ci sono esigenze umane che sfuggono alla sua logica?
· La povertà, la miseria e la crisi di oggi, sono tutte da imputare al libero mercato?
· Posto che è stretto dovere di giustizia e di verità impedire che i bisogni umani fondamentali rimangano insoddisfatti e che gli uomini che ne sono oppressi periscano, una maggior regolamentazione del mercato che garanzie darebbe?
· Da chi dovrebbe essere regolamentato il mercato? Dalle sue stesse regole,dall’autorità politica, dall’etica degli imprenditori, dalla cultura e la tradizione di popoli, dalla religione, dalla conflittualità delle parti sociali, dalla società civile (associazione consumatori, scuola che educa al consumo critico, dalle famiglie che disciplinano le spese in modo saggio,…), dall’economia del no profit, dagli organismi economici e finanziari internazionali che possono contribuire a dare al mercato regole eque, favorendo la democrazia economica?
· Può avere un’anima il mercato?

Ogni economia crea opportunità ed emarginazioni: ospitare i deboli e i piccoli in (per) un’economia di giustizia

Di chi è la terra?
Capitalismo e comunismo sono le due risposte principali che gli uomini hanno dato al quesito nell’era contemporanea, con risultati e successi ben differenti. La terra è dei singoli uomini recita il credo del capitalismo. La terra è della collettività ribattono i comunisti. La storia ha dato più successo ai primi e ha decisamente sconfitto i secondi.
Tutti però abbiamo anche capito che la realtà individuale e privata non può essere sempre un valore assoluto e che in alcuni momenti, per alcune emergenze ma anche per alcuni obiettivi positivi, c’è un interesse collettivo, di bene comune, che sorpassa il diritto e il bisogno del singolo (può essere una guerra, una calamità naturale ma anche la necessità di creare strutture collettive come le strade o un ospedale, una scuola …).
L’affermazione precisa della Bibbia è che la terra appartiene a Dio.
Possiamo tradurre questa espressione con: la terra è affidata all’umanità intera?
Se consideriamo questa opzione vuol dire che andiamo in cerca di una soluzione di giustizia universale, per tutti gli uomini; vuol dire che perseguiamo una equa distribuzione dei beni su base planetaria e non regionale, nazionale o continentale. In questa prospettiva la “globalizzazione” dei problemi e dei mercati possono essere una strada verso una società più equilibrata e felice?
Cosa possiamo fare per cercare di estendere la condizione dell’aria (disponibile per ciascuno in quantità sufficiente per il suo bisogno) anche agli altri beni?

Ereditare la terra.
Già leggendo la storia di Isacco e Ismaele abbiamo visto come la questione patrimoniale crea “l’altro”, il “diverso” e in ultima analisi lo “straniero”. Qui Mosè/Israele prende coscienza che un eccesso di patrimonio genera ingiustizia e perciò prova ad introdurre il meccanismo del giubileo (mai realmente applicato) come correttivo.
Il problema è complesso e ha varie sfaccettature.
Possiamo provare ad attualizzare il tema concentrandoci sul capitolo eredità.
È buona cosa che i genitori passino i loro beni ai figli. Tuttavia nel caso di “grandi patrimoni” questo genera condizioni di ingiustizia palese perché si tratta di beni “non meritati” né “conquistati”, che spesso vengono pure utilizzati male, in qualche caso con ricadute sociali pesantemente negative (come nel caso di gestioni aziendali affidate a figli non competenti).
La legislazione sociale degli stati del novecento ha pesantemente tassato le eredità con l’intento di correggere questo stato. In un passato recente si è intervenuti per alleggerire le tasse sull’eredità. Quale può essere un giusto rapporto tra eredità e giustizia?

Beati i poveri
Ogni sistema economico mira a creare stabilità, sicurezza e benessere; insegna ad essere prudenti e a costruire con costanza la prospettiva di un futuro senza sorprese. Il vangelo afferma invece esplicitamente “beati i poveri”. Come dire che la condizione della felicità è data dalla povertà dei beni, dalla precarietà delle condizioni, dall’insicurezza del futuro. Questo rovesciamento di prospettive, benché molto predicato non trova riscontro nelle proposte ecclesiali se non forse nelle esperienze di piccole comunità o degli ordini monastici.
Come si può coniugare seriamente questo insegnamento?
Possiamo pensare ad una religione che predicando il distacco dalle cose si fa paladina realmente della realizzazione del bene comune e del superamento dell’individualismo (esasperato) nel quale ci ha rinchiuso un “eccesso di capitalismo”?